Intervento di Carlos Lage Dávila, Segretario del Consiglio dei Ministri di Cuba, alla 51°Assemblea Generale delle Nazioni Unite New York

Oggi avrà luogo una votazione dalla quale dipenderà la sorte di milioni di cubani. Si potrà votare non solo contro una politica ingiusta, ma anche affinché nessuno Stato, per quanto forte sia, possa non tener conto del Diritto Internazionale.
Le campane che oggi suonano per Cuba, possono suonare domani per qualunque altra nazione indipendente.
Apprezziamo e gradiamo profondamente l’appoggio che possiamo ricevere da tutti voi alla nostra giusta causa.
Le risoluzioni approvate in questa Assemblea Generale nelle quattro precedenti occasioni, con una sempre crescente maggioranza dei suoi membri, affermano la necessità di porre fine al blocco economico, commerciale e finanziario degli Stati Uniti contro Cuba.
Nonostante ciò, il Congresso e il Governo nordamericani hanno recentemente deciso di approvare la legge conosciuta come Helms-Burton, il cui carattere extraterritoriale, unilaterale e coercitivo la portano a violare il Diritto Internazionale e la Carta delle Nazioni Unite.
Neppure Roma pretese a suo tempo una legge per governare il mondo.
Lo stesso presidente Clinton ha detto: “Nessuno è d’accordo con la nostra politica verso Cuba”. Finalmente se ne rendono conto!
Gli Stati Uniti sono, dunque, non solo uno dei maggiori debitori finanziari delle Nazioni Unite; sono anche, ignorando la protesta della comunità internazionale, un importante debitore morale.
Il contenzioso degli Stati Uniti con Cuba non ha avuto origine il 1° gennaio 1959.
Fin dagli inizi del secolo scorso, quando ancora non esistevano le idee di Marx ed Engels, i governanti degli Stati Uniti già parlavano di Cuba come un frutto maturo destinato a cadere nelle mani del suo vicino del nord.
Mancavano ancora 28 anni alla nascita di Fidel Castro, quando truppe nordamericane sono intervenute nel nostro paese e hanno strappato il trionfo alle forze cubane che per tre decenni avevano lottato contro il dominio spagnolo.
Molto prima della nascita di queste stesse Nazioni Unite, e prima dell’inizio della Guerra Fredda, per oltre mezzo secolo è stato istituzionalizzato da parte dell’ambasciata nordamericana a La Habana, come un vergognoso carnevale, il maneggio sotterraneo o scoperto sui governi di turno.
La situazione di penuria, corruzione e miseria di una dittatura che ha insanguinato la nazione e che ha avuto, non il blocco, bensì l’appoggio incondizionato degli Stati Uniti, spiega perché noi cubani abbiamo dovuto fare una Rivoluzione.
La politica di blocco e di aggressione contro Cuba ha accompagnato la Rivoluzione fin dai suoi primi momenti, è stata anteriore alla proclamazione del suo carattere socialista.
Hanno soppresso “la quota di zucchero”, hanno iniziato l’embargo di qualsiasi tipo di merci destinato a Cuba, hanno ordinato alle loro imprese sul nostro territorio di non raffinare petrolio sovietico. Aerei provenienti dagli Stati Uniti hanno mitragliato città e hanno incendiato coltivazioni di canna, hanno promosso e appoggiato apertamente gruppi di terroristi, hanno ideato ed eseguito piani di attentati contro i dirigenti della Rivoluzione, hanno rotto le relazioni diplomatiche nel gennaio 1961, hanno finanziato e istruito le truppe mercenarie che hanno invaso il nostro territorio alla Baia dei Porci nell’aprile di quello stesso anno.
Quando il presidente John F. Kennedy, il 3 febbraio 1962, ha decretato il blocco contro Cuba, non ha fatto altro che legalizzare una pratica che si stava delineando da tre anni.
Da allora fino ai nostri giorni e nel contesto mondiale della contrapposizione di due blocchi, la storia delle relazioni tra i nostri due paesi è stata una storia di contrapposizione, talvolta estrema, come nei giorni della Crisi di Ottobre del 1962, che hanno portato l’umanità sull’orlo del precipizio nucleare.
Come cortina di fumo per questa guerra contro il nostro popolo eroico sono stati impiegati in tutti questi anni i più svariati e falsi argomenti.
La verità è che le cause del blocco vanno ricercate nella bramosia espansionista che ha caratterizzato gli Stati Uniti fin da quando sorsero come nazione, nel carattere genuinamente indipendentista del nostro processo rivoluzionario, nelle misure senza mezzi termini in favore degli strati più umili della popolazione, nel dannoso impegno dei governanti di quella nazione di imporre su Cuba i propri disegni, nei condizionamenti di una politica interna che non sempre favorisce gli interessi del popolo nordamericano.
Il crollo dell’URSS ha fatto pensare a molti che la fine del socialismo a Cuba sarebbe stata inevitabile. L’attuale amministrazione statunitense ha rafforzato le azioni del blocco, ha appoggiato prima la Legge Torricelli e in seguito la Helms-Burton. Ha prevalso l’idea che, se prima non aveva raggiunto lo scopo, era arrivato il momento in cui il blocco avrebbe funzionato.
La scomparsa dell’URSS e del campo socialista ha significato realmente un duro colpo.
Dalla sera alla mattina Cuba ha dovuto affrontare la riduzione del 75% delle sue importazioni, la perdita quasi totale dei mercati per i suoi principali prodotti di esportazione e, senza alcuna fonte di finanziamento esterno, nel mezzo di un blocco rafforzato, abbiamo cominciato ad aprirci un varco nell’economia mondiale.
Abbiamo patito limitazioni materiali molto pesanti. Sono mancati gli alimenti, le medicine, l’elettricità, i mezzi di trasporto per andare al lavoro, le scarpe per andare a scuola, il sapone per lavare o per farsi il bagno. In questi anni di periodo speciale la vita della famiglia cubana è stata dura.
Poche volte nella storia una nazione è stata sottoposta a una simile prova.
Solo l’equità della Rivoluzione, la capacità di resistenza del nostro popolo, il carisma di Fidel, una politica di ampio consenso e una costante consultazione popolare, hanno guastato le fatidiche previsioni e ci hanno permesso di arrivare fino a qui.
E’ certo che il nostro cammino è ancora difficile, molto difficile, però già oggi nessuna persona di buon senso si domanda se crolli o meno la Rivoluzione. Basti segnalare che nel 1996 l’economia cubana crescerà circa del 7%.
Se abbiamo resistito e cominciamo a riprenderci, è facile immaginare quali enormi possibilità avremmo e quante sofferenze risparmieremmo al nostro popolo, se non avessimo di fronte gli ostacoli che il blocco ci impone.
E’ un eufemismo chiamarlo embargo. A causa del blocco, Cuba non può accedere al mercato degli Stati Uniti, il principale e più importante del mondo, né agli organismi finanziari internazionali, né alle fonti di finanziamento usuali dei paesi sviluppati.
Siamo obbligati a utilizzare crediti commerciali a breve scadenza, non solo come capitale di operazioni, ma anche per investimenti e per lo sviluppo, con tassi di interesse sostanzialmente superiori a quelli del mercato mondiale.
Siamo impossibilitati a realizzare transazioni direttamente in dollari e gli enti cubani non possono effettuare operazioni in questa moneta, fatto che presuppone un costo aggiuntivo.
In termini di opportunità, per i prezzi e per gli interessi, la nostra condizione di paese punito sottoposto a blocco ci obbliga a commerciare in situazione di maggiori svantaggi.
Cuba non può comprare negli Stati Uniti, né nelle sue filiali estere, neppure una medicina, anche quando questa è determinante per salvare una vita. Paesi terzi non possono vendere in questo mercato nessun prodotto che contenga parti di origine cubana, né possiamo acquistare in qualunque paese del mondo qualcosa che abbia qualche componente di origine nordamericana che superi il 20% del suo valore.
Ci è impossibile avere accesso ad accordi preferenziali di prezzi come fa la maggior parte dei paesi produttori di zucchero. Dobbiamo vendere il nostro zucchero a un prezzo più basso di quello stabilito dal mercato mondiale, non possiamo quotarlo alla borsa di New York.
Aumenta sensibilmente il costo dei noli marittimi per mercati distanti e per il fatto che tutte le navi che toccano il nostro paese devono poi aspettare 6 mesi per poter andare negli Stati Uniti.
Non possiamo accedere alla tecnologia nordamericana e, talvolta, neppure a quella di altre nazioni sviluppate, come nel caso della tecnologia nucleare.
Contro Cuba si pratica spionaggio economico per creare difficoltà alle nostre operazioni commerciali e impedire la rinegoziazione del nostro debito estero, si trasmettono più di 200 ore quotidiane di radio attraverso le quali si calunniano il governo e i suoi dirigenti e si incita alla disobbedienza e al terrorismo.
Mentre gli aerei nordamericani volano per i nostri corridoi, i nostri aerei non possono volare per i corridoi aerei internazionali degli Stati Uniti, dovendo così deviare dalla loro rotta e aumentare i loro consumi.
Gli ambasciatori e altri funzionari degli Stati Uniti esercitano pressioni ed esigono che persone, istituzioni e governi non investano o commercino con Cuba, trasformando questa persecuzione in obiettivo diplomatico prioritario presso le loro ambasciate nel mondo.
A causa del blocco, il popolo cubano si vede impossibilitato a normalizzare i rapporti con la sua comunità nel territorio nordamericano, nonostante tutti i passi che abbiamo fatto e che continueremo a fare.
Sono proibiti voli diretti tra i nostri due paesi e veniamo privati di centinaia di migliaia turisti che per le nostre peculiarità e per la vicinanza viaggerebbero da quella nazione.
Nel territorio degli Stati Uniti vengono istruiti gruppi armati che progettano e realizzano atti di terrorismo contro Cuba. Per le strade della Florida passeggiano impunemente ladri e assassini, come gli autori del crimine di Barbados, che fecero esplodere in pieno volo un aereo appartenente alla Cubana de Aviación con 73 passeggeri a bordo.
Potrei continuare, ma non sarebbe possibile descrivere, nel tempo che ho a disposizione in questa tribuna, tutta la portata dell’aggressione degli Stati Uniti contro Cuba.
Questa politica criminale che dura ormai da più di un terzo di secolo ci ha causato danni che superano la cifra di 60 miliardi di dollari, cinque volte più del valore del debito estero del nostro paese.
Se da sempre il blocco è stato orfano di ragione, oggi è anche carente di pretesti.
Se secondo lo stesso proclama presidenziale di Kennedy, il blocco è stato stabilito “sotto l’autorità della Legge per il Commercio con il Nemico”, nel mezzo della contrapposizione con l ‘Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti, cosa può giustificare oggi il mantenimento di questa politica? Dov’è il nemico? Dove l’URSS? Dove il campo socialista?
Se la guerra fredda è terminata già da cinque anni, come si può giustificare che si continui un vero atteggiamento di guerra verso il nostro paese?
Se persino lo stesso Pentagono riconosce che Cuba non rappresenta alcuna minaccia per la Sicurezza Nazionale, come si spiega, dunque, questa costante e cieca attitudine belligerante?
Quali sono i pretesti che oggi si utilizzano?
Incolpare Cuba perché le imprese nordamericane non hanno ricevuto risarcimento per le nazionalizzazioni che sono state effettuate al trionfo della Rivoluzione, non ha fondamento.
La prova è che tutti gli altri paesi interessati sono stati risarciti o vengono a esserlo in questo momento, e testimoni di questo sono Francia, Svizzera, Canadà, Gran Bretagna e altre nazioni.
Inoltre, è risaputo che gli Stati Uniti, una volta conclusa la Seconda Guerra Mondiale, hanno stabilito accordi di compensazione con diversi di quelli che erano allora paesi socialisti, e nonostante ciò si sono rifiutati e si rifiutano di arrivare ad accordi con Cuba.
Legalizzare la possibilità che cubano-americani possano richiedere a tribunali nordamericani presunte proprietà nazionalizzate più di 30 anni fa, è una burla sia al Diritto Internazionale, sia alla Corte Suprema di Giustizia degli stessi Stati Uniti che nel 1964 giudicò valide queste nazionalizzazioni e sia al precetto costituzionale che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge.
I cittadini nordamericani di origine russa, per esempio, non potrebbero avere anch’essi questo diritto rispetto alle proprietà che sono state loro confiscate dopo la Rivoluzione Bolscevica?
Accusare Cuba di violare i diritti umani è un’infamia senza precedenti che denunciamo qui a fronte alta.
Il 100% del popolo cubano ha accesso gratuito alle prestazioni sanitarie.
Abbiamo un medico ogni 193 abitanti, un’infermiera ogni 142 abitanti e più di 23.000 medici hanno prestato i loro servizi in 45 paesi del mondo.
Il tasso di mortalità infantile è di 8 per ogni 1.000 nati vivi. Se l’America Latina avesse il tasso di mortalità infantile che oggi ha Cuba ogni anno si salverebbero 500.000 bambini che non hanno avuto alcun diritto umano e che oggi muoiono pochi mesi dopo essere nati. E Cuba non è un paese ricco, è un paese povero e sottoposto a un blocco.
A Cuba l’accesso a tutti i livelli di istruzione è gratuito.
Non esiste l’analfabetismo, la scolarizzazione fino al sesto grado è di massa e il 50% della forza lavoro ha un livello di istruzione medio-superiore o ancora maggiore.
Abbiamo un insegnante ogni 42 abitanti e nessuno di loro è senza posto di lavoro.
Duecento milioni di bambini nel mondo dormono oggi per le strade. Nessuno di loro è cubano.
Cento milioni di bambini minori di 13 anni sono obbligati a lavorare per vivere. Nessuno di loro è cubano.
Più di un milione di bambini è obbligato alla prostituzione infantile e decine di migliaia sono stati vittime del commercio di organi. Nessuno di loro è cubano.
Venticinquemila bambini muoiono ogni giorno nel mondo per morbillo, malaria, difterite, polmonite e denutrizione. Nessuno di loro è cubano.
Tra appena 24 ore comincerà a Roma il Vertice Mondiale sull’Alimentazione.
Nel mondo, solamente da oggi a domani, moriranno di fame più di 35.000 persone.
Non è un piccolo paese sovrano quello che deve essere sottoposto a un blocco. Quello che bisogna sottoporre a un blocco è la fame, l’egoismo, l’ignoranza, l’indolenza di fronte ai problemi del mondo.
In oltre 36 anni di Rivoluzione a Cuba non si è mai avuto un solo desaparecido, né un solo caso di tortura. In oltre 36 anni di Rivoluzione non è accaduto un solo assassinio politico. Nel nostro paese non si conoscono gli squadroni della morte. La discriminazione razziale neppure la si ricorda.
A Cuba non c’è traffico di droga, né delinquenza organizzata, né terrorismo. A Cuba i governanti non rubano i soldi dello Stato. Non esiste un solo individuo punito senza essere stato giudicato e i diritti legali di tutti i cittadini sono garantiti in modo eguale.
Abbiamo, ed è la più assoluta verità, una limpida storia a favore dei diritti umani.
Veniamo pure accusati dagli Stati Uniti di avere un sistema politico con un solo Partito e di non essere democratici.
Potremmo dire molto qui, se confrontiamo il vero esercizio della democrazia nel mondo. Però non pretendiamo di avere ragione e ancor meno di criticare qualcuno, solamente difendiamo il diritto di scegliere il nostro cammino.
Il mondo è molto complesso e difficile. E’ assurdo e non conveniente che si cerchi di imporre un solo modello come una camicia di forza per tutte le nazioni, in qualsiasi circostanza, senza tenere conto del loro sviluppo economico e sociale, della loro storia e della loro cultura.
Il Partito unico non può essere la causa del blocco perché Cuba non è l’unica nazione dove c’è un solo Partito. Ancora di più, ci sono governi nel mondo dove il potere è esercitato da una monarchia, senza Partito o senza Costituzione, e non sono sottoposti a un blocco, né devono esserlo, e al contrario sono stretti alleati degli Stati Uniti.
Si pretende di accusarci perché applichiamo sanzioni punitive, solo nei casi in cui vengono commesse azioni che violano le leggi del paese, a membri di gruppuscoli controrivoluzionari, finanziati e organizzati da una potenza straniera che aggredisce la nazione.
Certamente, lo riconosciamo, e non può essere in altro modo perché il nostro popolo è disposto a difendere fino alle ultime conseguenze la sua indipendenza e le sue conquiste.
Non si può obbligare un paese a vivere in condizioni di assedio ed esigere che si possa governare come se facesse parte del più felice e del più tranquillo dei mondi.
Alcuni ci dicono che dobbiamo cambiare per risolvere questo conflitto, però blocco e cambiamenti sono termini opposti e contraddittori.
Cuba ha dato abbondanti prove durante la sua storia di avere molto rispetto di se stessa prima di prendere provvedimenti, sotto pressioni esterne, su fatti che sono di competenza unicamente del suo popolo.
Non siamo contro i cambiamenti, ma siamo contro il blocco che ci impedisce di fare tutti i cambiamenti che desideriamo per perfezionare la nostra società socialista.
Cuba non ha armi offensive, né missili nucleari. Le nostre armi sono il nostro esempio e la nostra morale e queste non hanno potuto, né potranno essere sottoposte a un blocco.
Cuba non ha basi militari nel territorio degli Stati Uniti. Quelli che mantengono una base militare in territorio cubano, contro la volontà del nostro paese, sono gli Stati Uniti.
Non è Cuba che ha sottoposto a un blocco gli Stati Uniti, sono gli Stati Uniti che hanno sottoposto a un blocco e intrapreso una guerra economica e politica contro Cuba.
E’ l’aggressore quello da cui bisogna esigere, e non l’aggredito.
Non esiste la men che minima ragione per sottoporre a un blocco Cuba. Nessuno ha il diritto di imporre un blocco e gli Stati Uniti non hanno il diritto morale di chiedere conto agli altri dei diritti umani quando loro sono molto lontani dall’essere un modello in questa materia.
Gli Stati Uniti sono uno dei paesi del mondo con il più alto indice di violenza e di terrorismo. La tragedia dell’Oklahoma, disgraziatamente, è figlia della società nordamericana.
Diventando il principale mercato di consumo di droghe, hanno creato un terribile e incontrollabile problema per la loro stessa società e per le nazioni sottosviluppate che le producono e che le forniscono.
La mortalità infantile dei bambini neri negli Stati Uniti è il doppio di quella dei bambini bianchi.
Le elezioni presidenziali che sono appena terminate sono costate 800 milioni di dollari, tre volte di più che nel 1992, e hanno conseguito il più basso indice di partecipazione alle urne nei 72 anni della loro storia.
Negli Stati Uniti si investono ogni giorno più di 700 milioni di dollari a scopi militari per difendersi non si sa da chi. Nel 1997 questi costi saranno cinquantaquattro volte maggiori del preventivo dei fondi da stanziare per l’assistenza tecnica ai programmi delle Nazioni Unite.
Si offendono con un simile sperpero gli oltre 800 milioni di persone che nel mondo non hanno da mangiare, il miliardo e più di persone adulte che sono analfabete, oltre un miliardo e mezzo di esseri umani che non hanno accesso alle prestazioni sanitarie.
Il razzismo e la xenofobia più aggressivi, il consumismo più smisurato, la crescente disparità, gli attacchi alla sicurezza sociale, il discredito delle istituzioni, sono alcuni dei mali oggi presenti nella società nordamericana.
Come possono gli Stati Uniti pretendere di governare il mondo quando non sono poche le difficoltà che hanno per governare loro stessi?
La comunità internazionale può ammirare un paese per la sua composizione multietnica, per la sua avanzata tecnologia, per il suo spirito d’iniziativa, per il suoi progressi nell’arte, nella scienza, nello sport, però il mondo non accetterà mai come leader un paese per i suoi arsenali nucleari, per la sua prepotenza, per le sue leggi extraterritoriali e per le sue sanzioni unilaterali.
Il popolo cubano è la vittima principale del blocco e noi cubani che lo patiamo lo sappiamo bene, ma questa politica aberrante danneggia anche il popolo nordamericano e viola i suoi diritti umani.
Un cittadino degli Stati Uniti non può comprendere perché gli si proibisca di andare a Cuba, perché lo si minacci per legge con multe fino a 250.000 dollari se esercita questo diritto costituzionale, perché si riempiano di percosse i suoi compatrioti che cercano di donare computer per il sistema sanitario cubano.
Per tutto il 1995 e il 1996, in coincidenza del periodo in cui è stata discussa e approvata la Legge Helms-Burton, sono stati registrati nel nostro paese più di 400 nuovi marchi di prodotti statunitensi e hanno visitato Cuba più di 300 uomini d’affari statunitensi. Oggi molte aziende nordamericane sono legate a Cuba per vie indirette, e lo saranno sempre di più come inevitabile conseguenza della globalizzazione dell’economia.
Le aziende degli Stati Uniti, indipendentemente dal fatto di avere avuto o meno proprietà a Cuba, sono più interessate, di norma, a fare affari e non a essere utilizzate come pretesto per continuare a sviluppare una politica di ostilità e di contrapposizione.
Gli Stati Uniti sono preoccupati dall’emigrazione.
I motivi economici sono da molti anni la causa essenziale dell’emigrazione cubana. Mentre continua l’assedio, si continua a favorire l’emigrazione incontrollata verso gli Stati Uniti, contro la nostra volontà e a prescindere da tutte le misure che abbiamo preso.
Il nuovo muro che si alza alla frontiera con il Messico, diverse volte più grande dell’abbattuto muro di Berlino, non potrà essere eretto nelle acque dei Caraibi.
Sia il popolo di Cuba che quello nordamericano non sono protagonisti bensì vittime di questa politica congelata nel passato, che è giunta l’ora di cambiare.
E’ inconcepibile che negli Stati Uniti un’alienata ultradestra, alleata a una minoranza fascista dell’emigrazione cubana, detti la politica che bisogna seguire nei confronti di Cuba, e questo continua a succedere anche se non corrisponde agli interessi dello stesso popolo nordamericano e della comunità internazionale.
Un Presidente degli Stati Uniti non deve essere ostaggio della politica dei suoi nemici.
In questi giorni, in questo paese, si è parlato di tendere un ponte al secolo XXI.
Come si può costruire un ponte verso il futuro se non si è capaci di tendere un ponte molto più corto, di appena 90 miglia, attraverso il quale possa transitare la pace dell’emisfero?
Come si può concepire di viaggiare con Internet e impedire che si viaggi a Cuba?
Ribadiamo che Cuba è disposta a discutere con gli Stati Uniti su qualsiasi tema. Non poniamo alcun tipo di condizioni che non sia il più assoluto rispetto ai nostri irrinunciabili diritti alla libertà e alla sovranità.
La Rivoluzione cubana ha dato abbondanti prove dell’onore del suo comportamento e della responsabilità con cui ha assunto e compie i suoi impegni internazionali.
Se qualcuno lo sa molto bene, sono proprio gli Stati Uniti.
Cuba ha risolto il problema dei sequestri aerei, arma che è stata inventata contro di essa.
Cuba, ai proprietari che sono stati sostenuti dai loro governi, ha indennizzato i beni nazionalizzati.
Cuba ha rispettato minuto dopo minuto gli accordi che hanno portato alla pace nel sud dell’Africa.
Cuba rispetta rigorosamente gli accordi migratori.
Cuba, a prescindere dal fatto che non esista alcun accordo, collabora con le autorità nordamericane alla lotta contro il narcotraffico ogni volta che è necessario.
Gli Stati Uniti hanno già ristabilito le relazioni diplomatiche con il Viet Nam. Il commercio tra le due nazioni s’incrementa ogni anno. E’ stato superato, con soddisfazione di tutti, un passato nel quale sono morti 58.000 nordamericani e 3.400.000 vietnamiti.
Oggi, molti dei responsabili della guerra nel Viet Nam hanno dichiarato in privato e pubblicamente che fu un errore, “che si erano sbagliati, terribilmente sbagliati”.
Bisognerà aspettare altri venti anni perché l’attuale Presidente degli Stati Uniti, o qualcuno dei suoi collaboratori, scriva nelle sue memorie che mantenere il blocco è stato un errore, un “terribile errore” della sua amministrazione?
Se rettificare è da saggi, rettificare una politica irrazionale, crudele e anche condannata alla sconfitta, in un paese tanto complesso e di tanti interessi, è un’opera che richiede onestà e coraggio. Non mancano né pretesti né scenari per cambiare una politica, ciò che manca è la volontà e la forza.
John F. Kennedy è stato il presidente dell’invasione di Girón, dell’imposizione del blocco e della Crisi di Ottobre.
Non è un segreto per nessuno che nei giorni precedenti la sua inaspettata morte Kennedy si interrogasse sulla politica di contrapposizione verso il nostro paese, e che lo stesso 22 novembre 1963, giorno in cui venne assassinato, un giornalista francese da lui incaricato conversava con Fidel Castro su questo tema.
Il vergognoso e triste omicidio di Dallas lasciò interrotta l’intenzione.
Durante l’amministrazione Carter si sono aperti uffici di interessi in ambedue le capitali, gli Stati Uniti hanno reso più flessibili alcune restrizioni ai viaggi dei cittadini nordamericani nel nostro paese e si sono raggiunti diversi accordi.
La politica estera del paese più potente della Terra, lo sappiamo, non è guidata, almeno nel periodo elettorale, dalla ragione e dalla giustizia. In queste contese non si difendono idee per far grande la nazione, si cercano voti per vincere un’elezione.
Conosciamo questa realtà anche se la rifiutiamo per semplici ragioni etiche.
Sono già finite le tensioni elettorali nel paese nel quale ci troviamo, è stato rieletto il presidente William Clinton e si apre una nuova fase di governo democratico. Crediamo che sia giunto pure il momento di una nuova messa a fuoco della politica degli Stati Uniti verso Cuba.
Cuba ribadisce che desidera avere relazioni normali con tutti i paesi del mondo, compresi gli Stati Uniti, ma nonostante tutta questa montagna di verità la politica nordamericana continua a essere determinata da congiunture elettorali, o meschini interessi di politica interna, e il nostro paese continua a essere minacciato, bloccato e fustigato.
Se si continua cercando di far arrendere per fame un popolo il cui unico delitto è quello di voler vivere libero e indipendente e di applicare tutta la giustizia sociale possibile in questo mondo, se si continua a eludere la protesta internazionale che chiede la fine di un tale mostruoso crimine, la storia comproverà che la dignità di un popolo è più potente di tutta la forza di un impero.
L’onore di una nazione, per piccola che sia, non potrà mai essere bloccato.

Nazioni Unite Assemblea Generale 21 novembre 1996
Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale

risoluzione 51/17: Necessità di porre fine al blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti d’America contro Cuba.

L’Assemblea Generale,

decisa a promuovere lo stretto rispetto dei propositi e dei principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite,
riaffermando, tra gli altri principi, quelli dell’uguaglianza sovrana degli Stati, del non intervento e della non ingerenza nei loro affari interni e della libertà di commercio e di navigazione internazionali, ratificati, tra l’altro, da numerosi documenti giuridici internazionali,
prendendo in considerazione i pronunciamenti dei Capi di Stato e di Governo ai Vertici Ibero-Americani riguardo la necessità di eliminare l’applicazione unilaterale di misure di carattere economico e commerciale di uno Stato contro un altro che colpiscono il libero sviluppo del commercio internazionale,
preoccupata per la continua promulgazione e per l’applicazione da parte di Stati Membri di leggi e di regolamenti, come quello promulgato il 12 marzo 1996 noto come “Legge Helms-Burton”, i cui effetti extraterritoriali colpiscono la sovranità degli altri Stati, i legittimi interessi di enti o di persone sotto la loro giurisdizione e la libertà di commercio e di navigazione,
prendendo nota delle dichiarazioni e delle risoluzioni di numerosi convegni internazionali, di organismi e di Governi, che hanno espresso il rifiuto della comunità internazionale e della pubblica opinione per la promulgazione e per l’applicazione di leggi del tipo sopra citato,
ricordando le proprie risoluzioni 47/19 del 24 novembre 1992, 48/16 del 3 novembre 1993, 49/9 del 26 ottobre 1994 e 50/10 del 2 novembre 1995,
preoccupata che, dopo l’adozione della sue risoluzioni 47/19, 48/16, 49/9 e 50/10, continua la promulgazione e l’applicazione di ulteriori misure di questo tipo, dirette a rafforzare e ad ampliare il blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba, e preoccupata anche per i loro effetti negativi sulla popolazione cubana e su cittadini cubani residenti in altri paesi, prende nota della relazione del Segretario Generale sull’adempimento della risoluzione 50/10
rinnova la propria esortazione a tutti gli Stati ad astenersi dal promulgare e dall’applicare leggi e misure del tipo menzionato nel preambolo della presente risoluzione, in conformità agli obblighi di ognuno alla Carta delle Nazioni Unite e al Diritto Internazionale che, tra l’altro, sanciscono la libertà di commercio e di navigazione esorta ancora una volta quegli Stati in cui esista e in cui si continui ad applicare questo tipo di leggi e di misure, affinché, nel più breve tempo possibile e in accordo con il loro sistema legale, adottino le misure necessarie per eliminarlo o per annullarne gli effetti chiede al Segretario Generale, in coordinamento con gli organismi e con le agenzie del sistema delle Nazioni Unite, di redigere un rapporto sul rispetto della presente risoluzione alla luce dei propositi e dei principi della Carta e del Diritto Internazionale e di presentarlo all’Assemblea Generale del 52° Periodo di Sessioni decide di includere nell’agenda provvisoria del suo 52° Periodo di Sessioni l’argomento intitolato “Necessità di porre fine al blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti d’America contro Cuba”.