Intervento di Ricardo Alarcon de Quesada, Ambasciatore di Cuba presso le Nazioni Unite, alla 46° Assemblea Generale dell’ONU

Signor Presidente,
nessuno si sorprenderà se inizio la mia dichiarazione con alcune considerazioni su circostanze comprovate ed evidenti con le quali si è voluto rigirare il discorso sul tema in questione.
Prima di tutto voglio dire che non è stata né è nostra intenzione presentarle nessuna ‘querelle’ bilaterale – sebbene una figuri, certamente, nel programma dell’Assemblea – e che è ben lontano dal nostro animo condurre questa Assemblea a intervenire in qualsiasi forma in questioni private sulla sovranità di qualsiasi Stato. Non oseremmo neanche affaticare inutilmente la Sua attenzione con qualcosa di poco importante che non lo merita.
Il tema che adesso esaminiamo ha un’importanza vitale per il mio popolo. Riguarda direttamente niente meno che il diritto alla vita, l’esistenza stessa di una nazione. E’ inoltre un problema che interessa direttamente anche i principi consacrati nella Carta, ostacola il normale sviluppo delle relazioni internazionali e lede seriamente gli interessi legittimi di molti stati, istituzioni e persone in tutto il mondo.
Lo sanno tutti quelli che sono qui riuniti, come lo sanno pure milioni di persone fuori di questa sala.
Essi conoscono anche la causa che spiega la situazione peculiare nella quale viene a trovarsi l’Assemblea nell’affrontare questo tema. Se ne è parlato ripetutamente qui, nelle capitali, oralmente e per iscritto, in un linguaggio la cui crudezza non è sfuggita alla percezione di nessuno.
Ho qui una vera collezione delle diverse comunicazioni che il Governo degli Stati Uniti ha disseminato per le cancellerie di molti paesi. In tali comunicazioni gli argomenti falsi vanno di pari passo con le minacce più aperte. Tutte portano un chiaro messaggio: Washington non solo si propone di persistere nel suo illegale e criminale blocco contro Cuba, ma pretende persino di bloccarne la discussione all’Assemblea Generale.
In quei documenti e nella dichiarazione formulata il 21 agosto dal Dipartimento di Stato si sostiene che non esiste un blocco, ma solamente un embargo. E’ sorprendente per chi legge imbattersi in questa affermazione:
“Un blocco implica che gli Stati Uniti stiano prendendo misure per impedire che altri paesi commercino con Cuba. Chiaramente, non è questo il caso”.
Nel documento a/46/193/add.7 del 12 settembre 1991 dimostriamo che si tratta precisamente di questo, di un blocco che il Governo di Washington applica in tutto il mondo estendendo più in là del suo territorio le sue leggi, le sue ordinanze e i suoi regolamenti anticubani. In questo documento, che le delegazioni hanno ricevuto già da due mesi, citiamo specificamente i testi di un certo numero di disposizioni attualmente vigenti, e in vigore da anni, che provano come Washington estenda extraterritorialmente la sua giurisdizione. Sono trascorsi sessanta giorni da quando il documento a/46/193/add.7 è stato distribuito e fino a ora nessuno ha contestato l’esattezza dei dati contenuti. Ci sarà ancora l’opportunità di farlo quando verrà dibattuto il tema.
Quel documento è semplicemente un compendio del codice di regolamenti federali degli Stati Uniti. Desidererei ora esporle alcuni esempi che mostrano come l’applicazione extraterritoriale di queste disposizione danneggia seriamente Cuba e inoltre ostacola gli interessi di terzi ed è fonte costante di conflitti internazionali.
Vi sono numerosi e recenti casi di legittime operazioni commerciali intercorse con imprese che non sono statunitensi e che non sono sottoposte alla giurisdizione degli Stati Uniti, ma che non possono diventare esecutive per espressa proibizione del Governo di Washington. In alcuni casi a queste operazioni commerciali partecipavano enti ufficiali del governo del paese terzo in questione. Ho qui la documentazione relativa a ogni singolo caso. Mi limiterò a menzionare gli articoli messi all’indice per l’esportazione a Cuba:
colliri oftalmici, pneumatici, componenti idraulici, cinghie di trasmissione a V, equipaggiamenti da cucina per aerei, dispositivi di controllo e regolatori elettrici, materiale per installazione elettrica, accessori elettrici, componenti per caldaie, utensili da taglio per il legno, utensili da taglio per metalli, connessioni metalliche per installazioni elettriche, lampadine per illuminazione, fusibili, gruppi da cucina commerciali, interruttori elettrici, prodotti per nautica, resine plastiche, cellophane, resina idrorepellente, nastri per la produzione di cavi telefonici, collante per giunti di motore, gruppi di filtrazione, libri di medicina, bibite. Come si vede, non si tratta in alcun caso di ‘materiale strategico’.
Per non abusare della sua pazienza riferirò solamente di alcuni di questi casi.
La casa editrice Interamericana S.A. de España è stata per anni un’importante fornitrice di libri di medicina per Cuba, fino a quando nel 1989 fu acquistata dalla società statunitense McGraw-Hill. Questa ha proibito qualsiasi vendita al nostro paese e anche la partecipazione alla Fiera del Libro di Cuba a quella che ora è la sua filiale spagnola. L’imposizione al di là dell’Atlantico di decisioni prese a Washington rende più difficile ai cubani l’accesso alla letteratura medica, ma lascia anche senza impiego alcuni lavoratori spagnoli.
Su istruzioni della sua casa madre statunitense l’impresa Pepsi Cola Montreal decise a metà di maggio di quest’anno di non adempiere il contratto che aveva sottoscritto per la vendita a Cuba di 28.000 casse di bibite.
Le implicazioni politiche di questa azione furono correttamente registrate dalle autorità del Canada. In una comunicazione all’impresa menzionata il signor R. H. Davidson, direttore generale per l’America Latina e i Caraibi della Cancelleria Canadese così si espresse: “La politica commerciale del Governo Canadese, che ci auguriamo sia appoggiata da compagnie incorporate in Canada, favorisce il commercio con Cuba di beni non strategici. Il governo canadese si è anche opposto decisamente all’applicazione extraterritoriale della politica commerciale nordamericana nei confronti di Cuba, sia da parte del governo nordamericano direttamente che tramite le case madri di corporazioni nordamericane, fin dall’adozione da parte degli Stati Uniti, nel 1963, dei Regolamenti per il Controllo dei Beni Cubani”.
Tra Cuba e l’impresa svedese Alfa-Laval esistevano abituali rapporti commerciali. Tuttavia nello scorso mese di maggio tale corporazione ha annullato un contratto di vendita che aveva sottoscritto con Medicuba. L’operazione riguardava alcune attrezzature svedesi, fabbricate in Svezia dall’Alfa-Laval e che Cuba comprava da diversi anni, fino a che gli inquisitori di Washington si accorsero che un particolare dell’attrezzatura, una membrana di filtrazione, era di origine statunitense.
Nel documento a/46/193/add.7 riferiamo di alcune operazioni commerciali per l’acquisto di attrezzature mediche, di laboratorio e di pezzi di ricambio prodotti fuori dagli Stati Uniti da imprese non statunitensi; tutte queste operazioni, tuttavia, non sono state portate a compimento perché proibite dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.
Non le leggerò questo altro documento. Ma non posso fare a meno di menzionarlo in questa sala in cui appena un anno fa si tenne un Vertice per l’Infanzia. Ricordate le promesse fatte in quell’occasione ai bambini di tutto il mondo? Qualcuno ha detto allora che da queste promesse erano esclusi i bambini cubani? Questo documento contiene un elenco di parti e pezzi, alcuni piccoli e non molto costosi. Non hanno carattere “strategico” né servono per scopi militari. Sono utili soltanto negli ospedali pediatrici. Ma non sono giocattoli. Sono pezzi indispensabili a équipe mediche per il trattamento dei bambini affetti da malattie cardiache. Hanno un solo difetto: sono di origine statunitense.
Sono sicuro che anche in tutte le ambasciate statunitensi esiste copia di questa relazione e ciò spiega il perché a noi risulta ogni giorno più difficile acquistare questi prodotti in qualsiasi parte del mondo. Alcuni colleghi hanno commentato che il tema che ora esamina l’Assemblea è molto delicato. Chi può dubitarlo? Tra le altre cose mette alla prova la sensibilità di ognuno di fronte al diritto alla vita dei bambini.
I bambini cubani hanno avuto altre esperienze con il blocco. Nel 1981 si verificò a Cuba, in circostanze che permettono di sospettare che fu introdotta dall’esterno, un’epidemia di dengue emorragica. Le autorità statunitensi ci impedirono allora di acquistare il farmaco necessario per eliminare il vettore dell’epidemia. Questo prodotto è stato ottenuto solamente in seguito, a un costo elevato e dopo molti sforzi, in un mercato distante, malgrado i dovuti passi fatti presso Washington dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Più di un centinaio di bambini pagarono con la vita quell’episodio di abominevole crudeltà.
Nel suo impegno per imporre illegalmente la politica del blocco in altri paesi, situati fuori della sua giurisdizione, Washington ha usato diverse forme di pressione e di interferenza. All’inizio del 1983 il Dipartimento di Stato ricevette una nota della Cancelleria Canadese in cui, tra l’altro, si affermava: “non possiamo accettare … che funzionari nordamericani prendano misure in Canada per favorire l’applicazione di leggi che impediscano a ditte canadesi di portare avanti la politica espressa dal Governo Canadese di promuovere il commercio con Cuba di beni non strategici … Se effettivamente queste pratiche nordamericane sono esistenti da molto tempo, devono essere interrotte”.
Queste attività di ingerenza da parte di Washington si diffondono in tutti i paesi e si sono moltiplicate negli ultimi mesi. Su queste attività vi sono numerose testimonianze riportate dalla stampa, specialmente nell’America Latina.
Una menzione a parte merita l’accanita persecuzione contro l’esportazione del nichel cubano. In questa vera guerra di oltre trent’anni contro uno dei principali prodotti di un paese povero e sottosviluppato, il governo degli Stati Uniti è riuscito a raggiungere i suoi principali obbiettivi e a chiuderci uno dopo l’altro i nostri mercati abituali. Questo ha implicato sia l’inadempimento di contratti debitamente sottoscritti sia l’interruzione di forniture già in atto da parte di organismi privati e statali dei maggiori consumatori di questo minerale. Per conseguire questi obbiettivi gli Stati Uniti sono ricorsi a tutti i metodi, dall’embargo di carichi di acciaio inossidabile ‘sospetti’ di contenere nichel cubano, all’imposizione di molti e severi meccanismi di controllo nei paesi consumatori, alla pretesa di garanzie che nessun prodotto esportato negli Stati Uniti contenga nichel cubano, fino alla minaccia e alla ritorsione effettuate da diplomatici yankee visitando una ad una le imprese di vari paesi che utilizzano nichel.
Adesso Washington esige anche che coloro che esportano zucchero verso gli Stati Uniti garantiscano che non vi sia zucchero cubano nel carico che intendono vendere.
Altro esempio di extraterritorialità è la pretesa nordamericana di vietare completamente l’uso del dollaro in qualsiasi transizione vincolata a Cuba anche quando non abbia relazione alcuna con persone o istituzioni degli Stati Uniti. In questo modo Washington interferisce nel funzionamento di banche e istituti finanziari in altri paesi e impone restrizioni alle loro attività anche se questi non hanno assolutamente niente a che vedere con gli Stati Uniti.
Signor Presidente,
quello che fino qui ho descritto è il risultato dell’applicazione extraterritoriale delle disposizioni di blocco contro Cuba attualmente in vigore. Ovviamente è una politica che viola la Carta di San Francisco, l’Accordo Generale di Tariffe e Commercio e varie risoluzioni di questa Assemblea, è contraria al diritto internazionale e non solo costituisce una criminale aggressione contro Cuba, ma la sua applicazione attenta alla sovranità di altri stati ed è per questo fonte costante di conflitti di carattere internazionale, ignora i diritti più elementari del popolo cubano e pregiudica anche gli interessi di altri.
Questo vale per la situazione attuale. Però, come se questo non bastasse, dall’anno scorso il Congresso degli Stati Uniti sta esaminando proposte legislative per intensificare e ampliare il blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba. Alcune fanno già parte di progetti di legge che attendono l’approvazione esecutiva. Il loro obbiettivo è quello di eliminare completamente il commercio con Cuba da parte di imprese sussidiarie delle corporazioni statunitensi ubicate in altri paesi e sotto la giurisdizione di altri stati. La quasi totalità delle importazioni cubane che in questo modo sarebbero proibite è composta da alimenti e medicine, come è riconosciuto da questo documento dell’ufficio del governo di Washington incaricato di organizzare il blocco. Per raggiungere quest’obbiettivo gli Stati Uniti estenderebbero ancor più illegalmente e arbitrariamente le loro leggi a territori che sono fuori della loro giurisdizione e violerebbero la sovranità di altri paesi.
Per questo lo scorso anno l’Ambasciata di Irlanda a Washington, a nome degli stati membri della Comunità Europea, consegnò questa nota al Dipartimento di Stato facendo obiezione alla legge proposta.
In uno dei suoi paragrafi, si può leggere: “La Comunità è anche dell’opinione che gli Stati Uniti non hanno fondamento nel diritto internazionale per rivendicare il diritto di autorizzare transazioni non USA con Cuba da parte di compagnie incorporate che si trovano fuori degli Stati Uniti, chiunque sia il suo proprietario chiunque le controlli”.
In ugual modo riconosciamo il valore della dichiarazione emessa nel passato mese di settembre dal Segretario di Commercio del Regno Unito, che mi permetto di citare:
“Spetta al Governo Britannico, e non al Congresso degli Stati Uniti, determinare la politica commerciale del Regno Unito riguardo a Cuba. Non accetteremo nessun intento di sovrapporre la legge nordamericana alle compagnie del Regno Unito. Ho la speranza che il Congresso mediterà su questo attentamente, prima di permettersi di interferire nel legittimo commercio civile tra questo paese e Cuba”.
Signor Presidente,
le ho presentato una serie di dati concreti, tutti corredati da documenti e prove incontestabili, che mostrano chiaramente come il Governo degli Stati Uniti porta a termine un illegale blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba. Ho citato dichiarazioni ufficiali di governi, che sono amici e alleati degli Stati Uniti, che testimoniano come le azioni e le misure che costituiscono questo blocco sono contrarie al diritto internazionale e danneggiano non solo Cuba ma anche altri paesi. Nel fare questo non ho voluto offendere alcuno né tantomeno governi che hanno il dovuto rispetto e considerazione da parte del mio stesso governo. Spero che comprendano che mi trovavo nell’obbligo di dimostrare l’assoluta falsità dell’argomentazione nordamericana che pretende di ridurre questo tema a una disputa bilaterale tra i nostri paesi, e parimenti di confutare l’insolito sproposito secondo il quale coloro che entrano nella discussione di questo problema commettono un’ingerenza negli affari interni degli Stati Uniti.
Credo che nessuno possa dubitare minimamente che questo blocco sia un problema internazionale, la verifica del quale da parte dell’Assemblea Generale è completamente legittima. E’ inoltre un essenziale obbligo morale e politico di questa Assemblea contribuire alla sospensione immediata di una politica che, oltre a essere illegale, causa grave danno a tutto un popolo. Con questa finalità abbiamo presentato il progetto di risoluzione che figura nel documento 1/20. Nella sua stesura abbiamo tenuto conto delle osservazioni e dei suggerimenti fornitici da diverse delegazioni il cui interesse e spirito di cooperazione apprezziamo molto.
Bench‚ non sia necessario, voglio dire che, nel proporre questo progetto di risoluzione non intendevamo porre le delegazioni in una situazione imbarazzante. Tuttavia, per dirlo nei termini più semplici, abbiamo il dovere di esigere giustizia per Cuba e per il suo popolo e di reclamare la necessaria solidarietà per raggiungerla. Di conseguenza, questo dovere lo compiremo in questa Assemblea e in altre istanze internazionali.
Tutti sappiamo l’esatta origine degli ostacoli che incontra l’Assemblea per prendere una giusta decisione su questo problema. Nulla a che vedere con interpretazioni giuridiche o disquisizioni semantiche.
Il vero ‘argomento’, l’unico ‘argomento’ del Governo degli Stati Uniti si trova in questo foglio di carta che molti di voi già conoscono. Ne ho vari esemplari provenienti da differenti capitali. Leggerò il paragrafo che contiene l’unico e vero ‘argomento’ yankee: “Riguardo alle vostre relazioni con loro, apprezzeremmo che la vostra posizione, nei confronti dei cubani, fosse orientata a uno sforzo per raggiungere il ritiro della loro risoluzione. I cubani dovrebbero capire che la loro insistenza, se appoggiata da voi, mina le vostre buone relazioni con gli Stati Uniti. Il Congresso e il popolo nordamericano osserveranno molto attentamente questo importante assunto”.
Sappiamo in quanti luoghi del pianeta è arrivata questa chiara e diretta minaccia che mostra la totale mancanza di rispetto di Washington per la dignità e per la sovranità di altre nazioni. Sappiamo quello che è stato detto in alcune capitali da certi inviati speciali. Sappiamo della grande impertinenza che hanno usato in alcune interviste, comprese quelle con capi di stato di repubbliche indipendenti che venivano trattate come se fossero possedimenti coloniali. Sappiamo, inoltre, che in più di un caso, al linguaggio minaccioso hanno unito sospensioni di crediti, interruzioni di progetti bilaterali e altre misure di pressione e rappresaglia. Di tutto questo abbiamo prove documentate che per adesso preferiamo non divulgare.
E se per caso non fosse ancora abbastanza?
“I cubani dovrebbero capire che la loro insistenza, se appoggiata da voi, mina le vostre buone relazioni con gli Stati Uniti. Il Congresso e il popolo nordamericano osserveranno molto attentamente questo importante assunto”.
Nel suo impegno per impedire la necessaria azione della comunità internazionale, il Governo degli Stati Uniti si è lanciato in una frenetica e smisurata campagna di intimidazioni, minacce e pressioni. In queste circostanze risulterà molto difficile a questa Assemblea esercitare giustamente le proprie responsabilità e analizzare obiettivamente il progetto di risoluzione, e per ciascuno adottare con piena libertà e senza timore di alcuna rappresaglia le posizioni che giudicherà pertinenti.
Cuba crede profondamente nella solidarietà internazionale. La reclama per il suo popolo perché adesso ne ha bisogno. Però gli stessi sentimenti, anche in questo momento carico di rischi per il nostro paese, ci obbligano alla solidale comprensione delle difficoltà che altri si troverebbero ingiustamente obbligati ad affrontare per mantenere una posizione degna su questo argomento.
Per questo, Signor Presidente, voglio comunicare ufficialmente che la mia delegazione ha deciso di non insistere che si sottoponga a votazione il progetto di risoluzione contenuto nel documento 1/20 nella presente sessione dell’Assemblea Generale e che la decisione a tale riguardo venga trasferita alla prossima sessione.
Sono molti i governi, le istituzioni e le persone che in tutto il mondo hanno reclamato la fine del blocco economico, commerciale e finanziario imposto a Cuba. Confidiamo nella loro solidarietà. Confidiamo nel fatto che i loro sforzi si moltiplicheranno e si faranno più poderosi e contribuiranno a creare condizioni appropriate affinché l’Assemblea Generale possa prendere una decisione giusta il prossimo anno.
Signor Presidente,
non potrei concludere la mia dichiarazione senza chiarire un punto sul quale si è voluto creare confusione. Si è tentato di spiegare il blocco economico come un prodotto della guerra fredda e del confronto che in passato esisteva tra due schieramenti antagonisti.
La verità storica è alla portata di tutti.
Basta leggere le biografie degli ex presidenti Eisenhower e Nixon per constatare che, dalle prime settimane successive al trionfo della Rivoluzione Cubana, il Governo degli Stati Uniti iniziò la sua ostilità contro il mio paese. L’adozione della Legge di Riforma Agraria il 17 maggio 1959 incontrò l’ostinata e inammissibile opposizione di Washington che da quel momento iniziò ad applicare le prime misure della guerra economica contro Cuba, che dura tuttora. Questo accadde mesi prima, molti mesi prima di quando a Cuba si presero i primi provvedimenti di orientamento socialista o di quando furono ristabilite le relazioni con l’Unione Sovietica.
Le vere motivazioni degli Stati Uniti nei confronti di Cuba le conosce qualsiasi studente di livello medio.
Nel 1808, dieci anni prima che nascesse Carlo Marx, gli Stati Uniti trattarono con la Spagna per ottenere la cessione di quella che allora era una sua colonia.
Nel 1823, venticinque anni prima della pubblicazione del Manifesto Comunista, gli Stati Uniti inventarono la cosiddetta teoria della ‘frutta matura’ secondo la quale Cuba, quando si fosse separata dalla Spagna avrebbe dovuto essere necessariamente incorporata al Nord-America.
Nel 1898, cinque anni prima della fondazione del Partito Bolscevico, gli Stati Uniti intervennero nella nostra guerra d’indipendenza per frustrarla e per imporci quattro anni di occupazione militare.
Nel 1901, sedici anni prima del trionfo della Rivoluzione d’Ottobre in Russia e mentre occupavano militarmente l’Isola, gli Stati Uniti imposero un emendamento alla Costituzione Cubana in base al quale privarono Cuba di una parte del suo territorio, che tuttora usurpano a Guantánamo, e si arrogarono il ‘diritto’ di intervento nell’Isola.
Vari decenni prima dell’inizio della cosiddetta ‘guerra fredda’ gli Stati Uniti inviarono nuovamente, in più di un’occasione, le loro truppe di occupazione, deposero e instaurarono governi e intervennero in vari modi negli affari interni del paese fino a quando Cuba conquistò la sua piena indipendenza il 1° gennaio 1959.
La Rivoluzione non venne importata dai cubani da nessuna parte. E’ il frutto della loro lotta più che centenaria.
Coloro che iniziarono, nel secolo passato, la lunga lotta del nostro popolo per la sua indipendenza, dovettero farlo in circostanze molto più difficili. Come simbolo più alto della Patria che volevano fondare scelsero la bandiera della stella solitaria. Essa rappresentava la solitudine di un piccolo paese che avrebbe lottato da solo contro il colonialismo, senza alleati, nel suo ridotto spazio insulare, per trent’anni. Però rappresentava ugualmente l’incrollabile volontà di un popolo che mai avrebbe claudicato, che mai avrebbe rinunziato alla sua indipendenza, che mai avrebbe tradito i suoi principi.
Che nessuno ci fraintenda. I cubani di oggi inalberano la stessa bandiera e la sapranno difendere con la stessa appassionata fermezza dei loro antenati. Resistendo e difendendo la nostra Rivoluzione, noi cubani difendiamo non solo la società degna e giusta che nonostante tutte le avversità continueremo a costruire, non solo difendiamo la società senza mendicanti, senza analfabeti, senza persone abbandonate, la nostra società con scuole, con ospedali, con giustizia e dignità per tutti, ma difendiamo anche la patria definitiva e finalmente liberata, la patria che nessuno, mai, ci potrà strappare.
Molte grazie.